Le uveiti sono patologie caratterizzate da infiammazione intraoculare e rappresentano una delle principali cause di cecità e deficit visivo in età lavorativa adulta.
La maggior parte delle uveiti riscontrate nei paesi sviluppati non è di natura infettiva bensì di natura infiammatoria o autoimmunitaria. Per questo motivo, l'interesse della ricerca verso nuove terapie immunosoppressive è di fondamentale importanza al fine di contenere il processo infiammatorio intraoculare, prevenire le complicanze oculari secondarie all'uveite (cataratta, glaucoma, edema maculare), preservare la funzione visiva del paziente comportando minimi effetti collaterali.
Nelle uveiti infettive, lo scopo del trattamento consiste nell'eradicazione del microrganismo patogeno attraverso una terapia anti-microbica mirata. Nei casi severi, la terapia può essere somministrata direttamente all'interno del bulbo oculare mediante iniezione intravitreale, oppure per via sistemica (orale o per via endovenosa). Quando l'infezione è considerata sotto controllo, può essere aggiunta con giudizio una terapia anti-infiammatoria allo scopo di contenere e ridurre il danno tissutale provocato dal sistema immunitario che reagisce verso gli antigeni microbici e oculari.
Nelle uveiti non infettive, il trattamento prevede la soppressione della risposta immunitaria alterata del paziente. La terapia prevede diverse vie di somministrazione: topica (mediante colliri), locale (iniezioni sottocongiuntivali, sottotenoniane, peribulbari, intravitreali), oppure sistemica (per via orale, intramuscolo, per via endovenosa). Idealmente, il trattamento dovrebbe essere mirato in maniera specifica verso la componente alterata del sistema immunitario e provocare il minor numero possibile di effetti avversi al paziente. Tuttavia, quest'obiettivo ideale non è stato ancora raggiunto con le terapie attuali e la ricerca è orientata verso la scoperta e la messa a punto di nuovi farmaci che dovrebbero mirare verso questo ambizioso obiettivo.
Terapie attuali
Ogni qual volta si prescrive una terapia per uveite vanno tenuti in stretta considerazione alcuni fattori molto importanti:
- EZIOLOGIA: infettiva versus non-infettiva
- CLASSIFICAZIONE ANATOMICA: criteri SUN (Standardization of Uveitis Nomenclature)
- LATERALITA': uveite monolaterale versus uveite bilaterale
- MALATTIA SISTEMICA ASSOCIATA: sì versus no
- EFFETTI COLLATERALI DEL FARMACO SCELTO
Nella pratica clinica, l'uveite anteriore idiopatica isolata e non complicata (monolaterale o bilaterale) può spesso essere gestita con successo esclusivamente mediante terapia topica. Essa prevede la somministrazione frequente di steroide topico (collirio) che, in base alla risposta favorevole o meno dell'infiammazione, può essere progressivamente scalato in termini di frequenza di somministrazione fino ad arrivare ad un dosaggio minimo di mantenimento oppure alla sua sospensione qualora l'uveite si possa considerare risolta. Un collirio midriatico è prescritto in associazione alla terapia topica steroidea al fine di ridurre il rischio di formazione di sinechie posteriori.
Nel caso di uveite intermedia, posteriore o di panuveite, la terapia topica (collirio) non permette il raggiungimento di adeguate concentrazioni di farmaco a livello dei tessuti intraoculari interessati. In questi casi la scelta della terapia locale o sistemica dipenderà dalla lateralità dell'uveite e dalla presenza o meno di una malattia sistemica associata.
L'uveite monolaterale può essere trattata con successo mediante terapie con via di somministrazione locale (es. iniezioni sottotenoniane, peribulbari, intravitreali). In casi specifici di impossibilità del paziente ad intraprendere e tollerare una terapia sistemica, anche forme di uveite bilaterale possono essere trattate localmente. In questa valutazione di finalità, rischi e benefici della terapia per l'uveite, vanno quindi sempre tenuti in considerazione fattori quali età del paziente, comorbidità sistemiche, compliance del paziente alla terapia prescritta.
I corticosteroidi restano la principale terapia somministrabile per via locale (sottotenoniana, peribulbare, intravitreale), sebbene nuovi farmaci immunosoppressori siano in studio nei principali studi clinici nella terapia intraoculare delle uveiti non infettive. La terapia locale è spesso sufficiente a contenere il processo infiammatorio, ma in alcuni casi una terapia sistemica si rende necessaria. E' tuttavia importante sottolineare che esistono controindicazioni oculari alla terapia locale, in analogia alle controindicazioni alla terapia sistemica. La terapia specifica delle uveiti non infettive comporta quindi un ragionamento globale dello stato oculare e sistemico del singolo paziente in esame.
La diagnosi e la terapia di malattie sistemiche associate è prioritaria. Il trattamento precoce della malattia sistemica ha delle implicazioni positive anche sull'uveite, riducendo il bisogno di ulteriori terapie e/o interventi locali. La terapia sistemica di prima linea si avvale di farmaci corticosteroidi (per via endovenosa, per via orale); la terapia di mantenimento consiste nel lento scalare del dosaggio corticosteroidi accanto all'introduzione o meno di un farmaco immunosoppressivo di prima o di seconda linea.
Il numero di farmaci risparmiatori di steroide o immunosoppressori è in crescita costante, sebbene l'evidenza clinica di sicurezza ed efficacia nelle uveiti richieda ancora ulteriori dati e ricerche cliniche. Le scelte attuali prevedono i farmaci anti-metaboliti (azatioprina, methotrexate, mycophenolate mofetil), inibitori dei linfociti T (ciclosporina), e agenti alchilanti (ciclofosfamide). Di recente, sono stati sviluppati farmaci biologici (sintetizzati mediante biotecnologie) che hanno come bersaglio mediatori della risposta immunitaria.
Sicurezza, efficacia, tollerabilità dei farmaci attuali
Allo stato attuale non è possibile stabilire quale sia la terapia migliore per forme specifiche di uveite poiché per molti agenti farmacologici non esistono ancora studi clinici controllati randomizzati a dimostrarne efficacia, sicurezza e tollerabilità. Spesso il giudizio sul loro impiego nella pratica clinica si basa su studi di coorte, studi casi-controllo, opinione di esperti. Per gli stessi motivi è alquanto difficile tracciare un confine netto e definito tra le terapie definibili come 'gold standard' e quelle 'in fase di sviluppo'.
Corticosteroidi
I corticosteroidi sono ben conosciuti per la loro potente attività anti-infiammatoria e sono impiegati nella terapia delle uveiti dal 1950. Il meccanismo di azione è molto complesso e solo in parte conosciuto. Gli elementi chiave risiedono nel legame diretto del complesso glucorticoide/recettore ai geni coinvolti nella cascata dell'infiammazione, effetti indiretti su fattori di trascrizione (AP-1, NF-kB), effetti inibitori su numerose molecole coinvolte nel processo infiammatorio (citochine, chemochine, fattori di crescita, acido arachidonico, molecole di adesione).
La grande potenza ed efficacia dei corticosteroidi va purtroppo di pari passo con gli effetti collaterali a volte devastanti. Gli eventi avversi oculari, nel caso di somministrazione topica o locale, includono insorgenza precoce di cataratta, glaucoma e aumentato rischio di cheratiti infettive (erpetiche, batteriche, fungine). Gli effetti collaterali in caso di assunzione sistemica includono ipertensione arteriosa, diabete, osteoporosi, squilibri idro-elettrolitici, sindrome di Cushing, disturbi dell'umore, del sonno e dell'appetito, ritardo e arresto dell'accrescimento in età pediatrica.
Per i suddetti motivi, i corticosteroidi continuano ad avere un ruolo fondamentale e preponderante nelle terapie di salvataggio in acuto, ma il loro utilizzo clinico come terapia di mantenimento è limitata dai loro potenziali effetti collaterali. È raccomandato un dosaggio equivalente di prednisone non superiore a 7.5 mg al giorno come terapia di mantenimento.
L'attuale ricerca è quindi orientata verso lo sviluppo di farmaci con effetti anti-infiammatori simili ai corticosteroidi, ma con minori effetti avversi. I farmaci 'risparmiatori di steroide' hanno proprio questo scopo: permettere la sospensione dello steroide oppure una riduzione di dosaggio a livelli non a rischio per gli effetti collaterali associati.
Inibitori dei Linfociti T
La Ciclosporina fu inizialmente sperimentata nei trapianti d'organi solidi. Il meccanismo d'azione consiste nell'inibizione reversibile della calcineurina con il risultato finale di un'inibizione dei linfociti T circolanti. E' un farmaco che inizia ad agire velocemente raggiungendo il picco di efficacia entro 7-15 giorni dal suo inizio. È somministrata per via orale a un dosaggio pari a 2.5-5.0 mg/kg al giorno nella terapia delle uveiti. Da un recente studio retrospettivo multicentrico (studio SITE) emerge che un dosaggio di ciclosporina nel range 150-250 mg al giorno ha comunque la stessa efficacia e minori effetti collaterali di dosaggi superiori a 250 mg al giorno, a prescindere dal peso in kg del paziente.
L'efficacia di ciclosporina nelle uveiti è stata dimostrata nelle forme secondarie a sarcoidosi, malattia di Behçet, vasculite retinica idiopatica, e uveiti posteriori e panuveiti idiopatiche. Gli effetti collaterali includono ipertensione arteriosa, tossicità renale, gengivite, irsutismo. Nello studio SITE l'11% di 373 pazienti che assumevano ciclosporina per uveite hanno dovuto interrompere la terapia entro 1 anno dal suo inizio per effetti collaterali.
Il Tacrolimus (FK-506) è un antibiotico macrolide che ha un meccanismo d'azione simile a quello della ciclosporina. È somministrato per via orale e il dosaggio utilizzato nelle uveiti è pari a 0.03-0.08 mg/kg al giorno, ma richiede un attento monitoraggio della concentrazione circolante. Sembra avere efficacia equivalente e migliore tollerabilità della ciclosporina. Murphy et al hanno riportato minori tassi di ipertensione arteriosa ed ipercolesterolemia con l'utilizzo di Tacrolimus versus Ciclosporina in 37 pazienti affetti da uveite posteriore refrattaria (idiopatica, sarcoidosi, malattia di Behçet).
Antimetaboliti
L'Azatioprina interferisce con l'incorporazione delle basi puriniche nel DNA con il risultato di sintesi di sequenze non funzionali di DNA nella fase di trascrizione e bloccando la sintesi di proteine nei globuli bianchi. Inoltre, l'Azatioprina inibisce le cellule T, le cellule natural-killer (NK) e i monociti.
È somministrata per via orale al dosaggio di partenza di 2-3 mg/kg al giorno e raggiunge la massima efficacia entro 4-12 settimane dal suo inizio.
In clinica, la sua efficacia è stata suggerita in diverse condizioni infiammatorie oculari come scleriti associate a policondrite recidivante, pemfigoide oculare cicatriziale, uveite in artrite idiopatica giovanile (AIG) non responsiva ai corticosteroidi, uveite intermedia, malattia di Behçet e oftalmia simpatica. Lo studio SITE riporta un tasso pari al 62% di efficacia e pari al 47% di risparmio di steroide a 1 anno di terapia.
Gli effetti collaterali dell'Azatioprina includono disturbi gastro-intestinali e mielosoppressione; viene richiesto un attento monitoraggio dell'emocromo del paziente che assume Azatioprina. Recentemente un'accurata revisione della letteratura scientifica ha concluso che, a differenza delle precedente convinzioni, la terapia mediante Azatioprina non provoca un incremento del rischio di sviluppare neoplasie ai dosaggi utilizzati per la terapia delle uveiti.
Il Metotrexate (MTX) è un analogo dell'acido folico e inibisce la diidrofolato reduttasi, implicata nella duplicazione del DNA. È somministrato settimanalmente per via orale oppure per via intramuscolare ad un dosaggio di partenza pari a 2.5-10 mg/settimana ed aumentato anche fino a 50 mg/settimana; è però dimostrato che l'infiammazione viene controllata nel 76% dei pazienti affetti da uveite con un dosaggio medio di 12.3 mg/settimana. L'effetto massimo è ottenuto dopo 3-6 settimane dall'inizio di terapia. La sua efficacia è stata dimostrata in diverse forme di uveite e nell'ambito dello studio SITE il 66% di 384 pazienti ha ottenuto controllo dell'infiammazione con MTX, permettendo una riduzione della terapia steroidea con prednisone a 10 mg al giorno nel 58% dei casi. Gli effetti collaterali includono disturbi gastro-intestinali, epatotossicità, citopenia.
Non vi è un aumento del rischio di sviluppo di neoplasie con il suo utilizzo a lungo termine.
Il Micofenolato mofetil è un inibitore dell'inosina monofosfato deidrogenasi e abolisce la sintesi di purine, e preferenzialmente inibisce la sintesi di DNA dei linfociti B e T. E' somministrato per via orale ad un dosaggio di partenza pari a 500 mg x 2 volte al giorno, aumentando a 1g x 2 volte al giorno dopo 2 settimane, se non vi sono effetti collaterali importanti monitorando attentamente l'emocromo e la funzionalità epatica. L'efficacia è raggiunta in 2-12 settimane dall'inizio del trattamento. Lo studio SITE ha dimostrato un controllo dell'uveite nel 73% dei pazienti sottoposto a trattamento con micofenolato mofetil, ed un risparmio di steroide pari al 55%. L'effetto collaterale più comune sono i disturbi gastro-intestinali. L'aumento degli enzimi epatici, la leucopenia e la trombocitopenia sono riportati meno frequentemente.
Agenti alchilanti
La Ciclofosfamide esercita un effetto citotossico sulle cellule ad alta velocità di replicazione mediante alchilazione di basi del DNA e formazione di legami crociati che comportano la rottura del doppio filamento di DNA. Può essere somministrata per via orale oppure per via endovenosa. Alcuni autori sostengono un'efficacia maggiore con la somministrazione per via orale; tuttavia, è stato recentemente dimostrato che la somministrazione endovenosa comporta minori effetti collaterali rispetto alla via orale.
La fase di attacco prevede infusioni ogni due settimane. Il grado immunosoppressione è valutato in base al numero di globuli bianchi e si considera raggiunto il dosaggio ottimale quando i leucociti sono compresi tra 3500 e 4500 cellule/microlitro. L'efficacia terapeutica è abitualmente raggiunta in 2-8 settimane, e la frequenza d'infusione è ridotta una volta raggiunto l'effetto anti-infiammatorio desiderato. I protocolli terapeutici prevedono un dosaggio iniziale pari a 15 mg/kg a 2, 4, 7, 10 e 13 settimane, e successivamente infusioni mensili fino ad un massimo di 9 infusioni. Questo schema terapeutico è stato utilizzato nel trattamento di scleriti, cheratiti ulcerative periferiche (PUK), ed uveiti refrattarie. Nello studio SITE sono stati trattati 215 pazienti ottenendo un tasso pari al 76% di controllo dell'infiammazione, e pari al 61% di risparmio di steroide. Gli effetti collaterali di ciclofosfamide sono potenzialmente molto seri e comprendono leucopenia, cistite emorragica, sterilità, neoplasie maligne secondarie. Tuttavia, i benefici legati ad un trattamento endovena di breve durata superano i rischi di effetti avversi.
Il Clorambucil ha un'azione simile alla ciclofosfamide perché va a rimpiazzare ioni idrogeno con gruppi alchilanti sulle basi del DNA; questo meccanismo determina l'arresto della sintesi del DNA nelle cellule a rapida divisione. È somministrato per via orale alla dose di partenza di 0.1 mg/kg al giorno, e il dosaggio può essere incrementato fino ad un massimo di 6-12 mg al giorno. L'effetto terapeutico massimo viene raggiunto entro 4-12 settimane dall'inizio di terapia.
Mudun et al hanno riportato un tasso di risoluzione di uveite correlata a malattia di Behçet pari al 66% con terapia a breve termine. Altri studi ne hanno dimostrato l'efficacia nelle uveiti secondarie a malattia di Behçet, spondilite anchilosante, malattia di Crohn, artrite idiopatica giovanile, pars planite, oftalmia simpatica e panuveite idiopatica. Il principale effetto collaterale è la soppressione midollare che, sebbene quasi sempre reversibile, può in alcuni casi progredire ad anemia aplastica irreversibile. L'utilizzo di Clorambucil è inoltre associato ad aumentata incidenza di neoplasie maligne cutanee ed ematologiche.
Anti-TNFα
L'Infliximab (Remicade, Janssen Biotech, Inc., Horsham, PA, USA) è un anticorpo monoclonale chimerico IgG che lega il fattore di necrosi tumorale alfa (TNFα) e ne inibisce la funzione biologica. Esso è composto da un frammento umanizzato costante e da una regione murina variabile. Prima di intraprendere una terapia con anti-TNFα è di fondamentale importanza escludere qualsiasi forma d'infezione acuta attiva, tubercolosi polmonare latente ed epatite B cronica. I pazienti affetti da scompenso cardiaco di grado moderato-severo sono inoltre esclusi dal trattamento, mentre coloro affetti da scompenso cardiaco lieve, vanno strettamente monitorati durante il trattamento. L'emocromo e la funzionalità epatica vanno controllati prima dell'inizio del trattamento e poi mensilmente per tutta la durata di terapia.
L'Infliximab viene somministrato per via endovenosa inizialmente ad un dosaggio pari a 3-5 mg/kg ogni 2 settimane per 3 cicli, e successivamente con somministrazioni di mantenimento ogni 4-8 settimane ad un dosaggio pari a 5-10 mg/kg. Il trattamento è abitualmente protratto per 2 anni dopo che la malattia infiammatoria è risultata sotto controllo.
L'Infliximab è stato utilizzato con successo nell'uveite secondaria alla malattia di Behçet, retinocoroidopatia di tipo Birdshot, artrite idiopatica giovanile, spondilite anchilosante, sarcoidosi e malattia di Crohn. Suhler et al hanno riportato un tasso di successo pari al 77% di 31 pazienti con uveiti refrattarie ad altre terapie entro 10 settimane dall'inizio del trattamento con Infliximab. Sfikakis et al hanno riportato una percentuale di risoluzione di vitreite, edema maculare, e vasculite retinica pari al 90% in 25 pazienti con uveite associata a malattia di Behçet entro 4 settimane dall'inizio del trattamento.
Reazioni avverse durante l'infusione sono comuni e prevalentemente dovute alla presenza della regione murina variabile che sono gestite con successo mediante antistaminici e analgesici. Potenzialmente si possono verificare infezioni opportunistiche fatali nei pazienti che assumono infliximab e per questo motivo esso è controindicato nei pazienti affetti da infezioni attive e clinicamente significative, e dovrebbe essere utilizzato con cautela in pazienti noti per infezioni croniche oppure ricorrenti. Studi sull'Infliximab hanno inoltre dimostrato un'aumentata incidenza di tromboembolismo, reazioni lupus-like farmaco indotte, e neoplasie maligne solide.
L'Adalimumab (Humira, AbbVie, Inc., North Chicago, IL, USA) è un anticorpo monoclonale umanizzato IgG che agisce verso TNFα. È somministrato per via sottocutanea ogni 2 settimane al dosaggio di 40 mg ed è risultato efficace nel trattamento di uveiti refrattarie. I dati presenti in letteratura riportano che complessivamente l'81.7% dei soggetti ha ottenuto controllo dell'infiammazione, miglioramento di acuità visiva ed edema maculare, riduzione del numero di cellule in camera anteriore. L'Adalimumab presenta meccanismi d'azione ed effetti collaterali simili all'Infliximab, con il vantaggio di un tasso minore di reazioni nel sito di iniezione sottocutanea dovuto al fatto che si tratta di un anticorpo monoclonale completamente umanizzato.
L'Etanercept (Enbrel, Immunex Corporation, Thousand Oaks, CA, USA) è composto da un recettore TNF solubile e da un frammento Fc IgG umanizzato, ed è in grado di inibire l'attività biologica di TNFα e TNFβ. È somministrato sottocute 2 volte ogni settimana ad un dosaggio pari a 25 mg. Mentre i primi studi mostrarono risultati promettenti, successivamente è stata dimostrata la scarsa efficacia di Etanercept nel trattamento delle uveiti non infettive. Smith et al e Foster et al hanno entrambi dimostrato che non sussisteva alcun beneficio con la terapia a base di Etanercept rispetto al placebo, in pazienti affetti da uveite in AIG, e ad alte terapie nelle uveiti refrattarie.
Se paragonato all'Infliximab, Etanercept si dimostra inferiore nel controllare e prevenire la recidiva di infiammazione intraoculare. Gli effetti collaterali sono del tutto simili a quelli da Infliximab e Adalimumab. Data la sua scarsa efficacia, Etanercept è molto raramente utilizzato nella terapia delle uveiti.
Altri Farmaci Biologici
Il Rituximab (Rituxan, Genentech, Inc.) è un anticorpo IgG murino / umanizzato chimerico diretto verso CD20 (Cluster of Differentiation 20) sulla superficie dei linfociti B. CD20 regola la precoce differenziazione e maturazione delle cellule B, e la sua inibizione risulta nella loro apoptosi. Viene somministrato in 2 infusioni a distanza di 2 settimane l'una dall'altra ad un dosaggio pari a 375 mg/m2 di superficie corporea oppure pari a 1000 mg per singola infusione.
Rituximab presenta una dimostrata efficacia nella terapia di uveiti secondarie a Malattia di Behçet, Artrite Idiopatica Giovanile (AIG), e retinocoroidopatia di Birdshot. Gli effetti collaterali sono potenzialmente letali ed includono sepsi severa, reazioni da infusione con sindrome da distress respiratorio dell'adulto severa, broncospasmo, edema polmonare, angioedema, sindrome di Steven-Johnson e epidermolisi tossica necrotica.
Abatacept (Orencia, Bristol-Myers Squibb Company, New York, NY, USA) è una proteina di fusione che inibisce la co-stimolazione dei linfociti T attraverso il blocco dell'interazione tra CD28 e CD80/86. Viene somministrato per via endovenosa ad intervalli mensili. Al momento attuale, i dati inerenti alle uveiti sono limitati a case reports e case series, tuttavia Abatacept è stato più volte dimostrato essere efficace nell'uveite secondaria ad AIG. Gli effetti collaterali principali sono polmoniti e neoplasie maligne.
Daclizumab (Zenapax, Roche, Basel, Switzerland) è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto verso la subunità alfa del recettore per IL-2 localizzato sulla superficie dei linfociti T. Daclizumab lega CD25 sulla superficie del recettore per IL-2 dei linfociti attivati in modo da bloccare l'attività delle cellule T autoreattive senza sopprimere la fisiologica funzionalità del sistema immunitario. Viene somministrato per via endovenosa ad un dosaggio di partenza pari a 1 mg/kg ogni 2 settimane con un progressivo aumento del dosaggio fino a 200 mg, in base all'efficacia terapeutica e agli effetti collaterali. E' ben tollerato nella terapia delle uveiti e i principali eventi avversi includono linfoadenopatia, rash cutanei psoriasici, edema periferico lieve, ed infezioni. Non sembra sussistere un aumentato rischio di sviluppo di neoplasie maligne con l'assunzione di Daclizumab. In uno studio clinico con pazienti affetti da uveiti intermedie e posteriori, una somministrazione mensile di Daclizumab è stata in grado di ottenere un miglioramento dell'acuità visiva con controllo dell'infiammazione per 1 anno. Questi risultati si sono mantenuti anche a 4 anni di distanza. Altri studi hanno mostrato l'efficacia di Daclizumab in uveiti recidivanti secondarie a artrite idiopatica giovanile, Malattia di Vogt-Koyanagi-Harada, retinocoroidopatia di Birdshot, uveite intermedia e posteriore di natura idiopatica.
Gli interferoni (IFNs) sono un gruppo di citochine sintetizzate da diverse cellule del sistema immunitario con proprietà immunomodulatorie, antiproliferative, e antivirali. Gli interferoni di tipo 1 (INFα e INFβ) agiscono incrementando l'espressione di molecole del complesso maggiore di istocompatibilità di tipi 1 (MHC1), e attivando macrofagi e cellule NK. Vengono abitualmente somministrati sottocute ad un dosaggio pari a 3-6 milioni di unità al giorno, con una frequenza compresa tra 3 volte ogni settimana e giornalmente. Gli interferoni vengono utilizzati nel trattamento delle uveiti dal 1994, con una notevole evidenza di efficacia nelle uveiti secondarie a malattia di Behçet e sclerosi multipla. Kotter et al hanno analizzato 36 studi clinici riguardanti l'utilizzo di IFN nelle uveiti associate a Malattia di Behçet e il 94% dei pazienti trattati ha dimostrato risoluzione completa dell'infiammazione entro 2-4 settimane. Gli effetti collaterali comuni comprendono episodi simil-influenzali, leucopenia lieve, mentre disturbi dell'umore sono stati riportati meno frequentemente.
Immunoglobuline endovena
Le immunoglobuline per via endovenosa (IVIg) contengono IgG intatte umane al 97-98% con una distribuzione di sottounità del tutto paragonabile a quella del plasma fisiologico. IVIg possiedono molteplici meccanismi d'azione tra cui il blocco sui macrofagi del recettore per il frammento costante delle IgG, modulazione di sintesi e rilascio di citochine, modulazione del complemento, selezione del repertorio di linfociti B e T, neutralizzazione degli auto-anticorpi circolanti, interazione con altri recettori di superficie di linfociti B e T.
IVIg vengono somministrate per via endovenosa ad un dosaggio pari a 1-2.5 g/kg per ciclo di trattamento nel corso di 3 anni. Le infusioni sono ripetute ad intervalli di 2-4 settimane fino a quando l'infiammazione non è controllata; successivamente, le infusioni vengono protratte ogni 5-6 settimane per almeno 2 anni dopo il raggiungimento della remissione. Gli effetti collaterali includono meningite asettica, tromboembolismo e rischio di trasmissione di infezioni trasmesse per via ematogena. E' stata dimostrata l'efficacia nel trattamento di uveiti secondarie a retinocoroidopatia di Birdshot, Malattia di Behçet, e Malattia di Vogt-Koyanagi-Harada.
Inibitori del VEGF
Il fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF) è implicato nell'infiammazione intraoculare riscontrata in pazienti affetti da uveite e, di conseguenza, gli inibitori del VEGF sono stati utilizzati nel trattamento dell'edema maculare uveitico. I farmaci disponibili al momento attuale sono Ranibizumab (Lucentis, Novartis Pharmaceuticals Corporation), Bevacizumab (Avastin, Roche / Genentech, Basel, Switzerland), e Aflibercept (Eylea, Regeneron/Bayer, Tarrytown, USA). Il trattamento prevede abitualmente un ciclo iniziale di 3 iniezioni intravitreali a cadenza mensile, seguite da ulteriori somministrazioni sulla base della risposta al trattamento. Molti dati clinici dimostrano come gli anti-VEGF siano molto efficaci nel ridurre lo spessore maculare centrale, ma che questa riduzione non corrisponda sempre ad un aumento statisticamente significativo dell'acuità visiva.
Nella terapia intravitreale con corticosteroidi si ottiene invece un aumento significativo dell'acuità visiva del paziente, e questo risultato è dovuto alla maggiore attività anti-infiammatoria dei corticosteroidi rispetto agli anti-VEGF. Esistono potenziali rischi legati alla procedura chirurgica: incremento della pressione intraoculare, emorragia vitreale, endoftalmite, distacco di retina, cataratta.
Update sui farmaci in stadio di sviluppo nella terapia delle uveiti
I farmaci immunosoppressori sono raramente sviluppati con lo scopo di trattare esclusivamente le uveiti; invece, molte innovazioni sono state possibili utilizzando farmaci che si erano già dimostrati efficaci nel trattamento di malattie infiammatorie sistemiche, adattati all'utilizzo in oftalmologia. Molti immunosoppressori derivano dall'utilizzo in medicina dei trapianti, vasculiti sistemiche autoimmuni, malattie del tessuto connettivo, artropatie, sclerosi multipla. Spesso si tratta di farmaci off-label per il trattamento di uveiti, la cui efficacia è dimostrata in letteratura scientifica esclusivamente mediante case reports e case series.
Corticosteroidi
La somministrazione intravitreale di triamcinolone acetonide (IVTA) viene utilizzata nel trattamento dell'edema maculare uveitico in quanto permette il raggiungimento e la permanenza a livello del segmento posteriore di maggiori concentrazioni di farmaco rispetto alla terapia topica e sistemica. La durata d'azione è tuttavia ridotta a 3-4 mesi al massimo, necessitando quindi di somministrazioni ripetute nel tempo e causando effetti collaterali al paziente. Di conseguenza sono stati sviluppati impianti intraoculari di corticosteroidi a lento rilascio e lunga durata d'azione che permettono un effetto anti-infiammatorio simile, ma protratto nel tempo.
Ozurdex (Allergan, Inc., Irvine, CA, USA) è un impianto intraoculare 'bio-degradabile' di desametasone; viene iniettato in camera vitrea utilizzando uno specifico device. Desametasone viene rilasciato in maniera bifasica durante un periodo di 6 mesi, con massima concentrazione nelle prime 6 settimane, seguita da minore concentrazione nei mesi successivi. Dopo 6 mesi, l'impianto si dissolve in CO2 e H2O e nessun residuo permane all'interno della camera vitrea. Ozurdex è approvato per l'utilizzo nella terapia delle uveiti in Europa e negli Stati Uniti.
Lo studio HURON pubblicato nel 2011 ha dimostrato l'efficacia di Ozurdex rispetto al placebo. Il 47% dei pazienti trattati con Ozurdex 0.7 mg ha ottenuto haze vitreale pari a zero ad 8 settimane post-somministrazione (versus il 12% nel gruppo placebo). Gli effetti collaterali riportati sono stati i seguenti: insorgenza di cataratta clinicamente significativa ma non di entità tale da richiedere intervento chirurgico nel 15% dei casi, aumento della pressione intraoculare > 25 mmHg in meno del 10% dei casi.
Dato il successo di Ozurdex, c'è stata un'accelerazione nello sviluppo di impianti con durata d'azione maggiore. Fluocinolone acetato (FA) è significativamente meno solubile nell'umore acqueo rispetto a Desametasone, e ha durata maggiore all'interno del bulbo oculare. Retisert (Bausch & Lomb, Rochester, NY, USA) contiene 0.59 mg di FA, viene posizionato in camera vitrea e ha una durata di circa 30 mesi. E' stato approvato per l'uso nelle uveiti non-infettive dalla Food and Drug Administration (FDA) negli Stati Uniti nell'anno 2005. Diversi studi clinici su larga scala documentano la sua efficacia. Tuttavia, FA è associato a effetti collaterali significativi. In uno studio su larga scala, FA ha comportato l'insorgenza di cataratta a 3 anni nel 100% dei pazienti e l'insorgenza di glaucoma trattabile esclusivamente mediante chirurgia filtrante nel 40% dei pazienti.
Iluvien (Alimera Sciences, Alpharetta, GA, USA and pSivida Corp, Watertown, MA, USA) è un inserto di FA alternativo approvato nella terapia dell'edema maculare diabetico. Al momento attuale è in fase di valutazione nelle uveiti non-infettive. Rispetto a Retisert ha il vantaggio di poter essere iniettato mediante un sistema 25-gauge e di causare potenzialmente un minor tasso di effetti collaterali rispetto a Retisert.
Inibitori dei Linfociti T
Everolimus (Zortress USA / Certican Europe and other countries, Novartis Pharmaceuticals Corporation) è un inibitore di mTOR ed agisce inibendo la proliferazione dei linfociti T e la loro differenziazione bloccando il segnale di IL-2. Gli inibitori di mTOR sono risultati essere particolarmente efficaci nel trattamento di malattie autoimmuni. Everolimus si è dimostrato più sicuro ed efficace rispetto agli altri farmaci della stessa classe. Date queste premesse, c'è crescente interesse intorno a Everolimus come possibile terapia delle uveiti refrattarie ai corticosteroidi e agli inibitori di calcineurina.
Heiligenhaus et al hanno arruolato 12 pazienti affetti da uveite refrattaria alla terapia sistemica con corticosteroidi e ciclosporina. Everolimus è stato iniziato ad un dosaggio orale pari a 0.75 mg due volte al giorno, raggiungendo nell'arco di 1 settimana il dosaggio massimo di 2.5 mg al giorno. A 3 mesi di trattamento, l'uveite è risultata inattiva nel 100% dei pazienti. L'acuità visiva rimase stabile per tutta la durata dello studio, ci fu una riduzione significativa dell'edema maculare e in tutti i soggetti fu possibile ridurre del 50% il dosaggio di corticosteroidi e ciclosporina. Recidive di uveite furono registrate a 1 mese dopo la sospensione del trattamento nel 50% dei soggetti. Non sono stati registrati eventi avversi seri.
Sirolimus (Rapamene, Pfizer, Inc., Nwe York, NY, USA) è un altro inibitore di mTOR di provata efficacia nel controllo dell'infiammazione. La somministrazione sistemica di Sirolimus è approvata nella prevenzione del rigetto post-trapianto di organi solidi, prevenzione di re-stenosi coronaria, e trattamento del carcinoma a cellule renali in stadio avanzato in Europa, Stati Uniti e Giappone.
Recentemente, è stata sviluppata una formulazione di Sirolimus adatta alle somministrazioni locali oculari (intravitreale o sottocongiuntivale). Gli studi SAKURA, SAVE e SAVE-2 (Sirolimus as a Therapeutic Approach for UVEitis) hanno dimostrato l'efficacia e la sicurezza di Sirolimus nelle uveiti non infettive.
Voclosporina (Luveniq, Lux Biosciences, Inc., New Jersey, NY, USA) è un inibitore della calcineurina con struttura simile a ciclosporina, con l'eccezione di un gruppo funzionale aminoacidico. E' risultata essere nefrotossica in misura minore rispetto alla ciclosporina. Lo studio LUMINATE aveva come obiettivo la valutazione di efficacia e sicurezza di Voclosporina nel trattamento in acuto, terapia di mantenimento e controllo di tutte le forme di uveite non infettiva. I risultati iniziali erano stati promettenti con una riduzione dell'infiammazione pari al 50% nei pazienti con uveite attiva rispetto al 29% del placebo a 16 e 24 settimane. Sfortunatamente, gli studi clinici successivi di fase 3 non hanno raggiunto l'end point primario prefissato ed il farmaco non è stato approvato in Europa e negli Stati Uniti.
Anti-TNFα
Golimumab (Simponi, Janssen Biotech, Inc.) è un anticorpo monoclonale umano anti-TNFα che presenta il vantaggio di poter essere somministrato mediante un'unica iniezione sottocutanea mensile del dosaggio di 50 mg. Case reports pubblicati in letteratura ne hanno dimostrato l'efficacia nelle uveiti recidivanti secondarie a malattia di Behçet, Artrite idiopatica giovanile, vasculite retinica idiopatica, uveiti correlate ad HLA-B27 e spondiloartropatie sieronegative. Al momento attuale non esiste in letteratura alcuno studio clinico randomizzato multicentrico in doppio cieco sull'utilizzo di Golimumab nelle uveiti non infettive.
Certolizumab (Cimzia, UCB, Inc., Smyrna, GA, USA) consiste esclusivamente nel frammento Fab umanizzato pegilato di anticorpo monoclonale anti-TNFα. È somministrato per via sottocutanea al dosaggio di 400 mg ogni 2 settimane. Esiste un unico case-report che ne documenta l'efficacia nel caso di una sclerite secondaria ad artrite reumatoide con remissione di malattia per un periodo superiore a 6 mesi.
Altri immuno-modulatori
Anakinra (Kineret, Swedish Orphan Biovitrum AB, Stockholm, Sweden) è un antagonista ricombinante del recettore di IL-1 che è stato approvato nella terapia dell'artrite reumatoide. C'è evidenza sperimentale che IL-1 sia implicata nella patogenesi delle uveiti e per questo motivo Anakinra è stato indicato come un farmaco potenzialmente efficace nella terapia delle malattie infiammatorie oculari.
Gevokizumab (XOMA 052, XOMA Corporation, Berkeley, CA, USA) è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto verso IL-1β, una citochine pro-infiammatoria coinvolta in svariate patologie infiammatorie. Guy et al hanno trattato con una singola infusione 0.3 mg/kg di gevokizumab 7 pazienti affetti da malattia di Behçet che presentavano uveite posteriore o panuveite resistente ad azatioprina e/o ciclosporina ed in terapia con prednisone 10 mg al giorno. Fu ottenuta la completa risoluzione dell'infiammazione intraoculare entro 4-21 giorni in tutti i soggetti, e la risposta è stata mantenuta per una durata media di 49 giorni. Gli studi di fase III EYEGUARD A-B-C sono al momento in corso per valutare l'efficacia di Gevokizumab nelle uveiti associate a malattia di Behçet e nelle forme intermedie, posteriori e panuveiti idiopatiche attive.
Canakinumab (Ilaris, Novartis Pharmaceuticals Corporation) è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto verso IL-1β approvato per l'uso sistemico nel bambini affetti da artrite idiopatica giovanile. Esso è generalmente somministrato per via sottocutanea ogni 4-8 settimane, ma può essere anche somministrato per via endovenosa. E' stato utilizzato con successo nel trattamento di uveiti associate a malattia di Behçet.
Alemtuzumab (Campath, Genzyme Corporation, Cambridge, MA, USA) è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto verso CD52 utilizzato primariamente nel trattamento di pazienti affetti da leucemia linfatica cronica a cellule B. Inoltre si è dimostrato efficace nel trattamento di condizioni quali artrite reumatoide e sclerosi multipla. Gli studi sul suo utilizzo in oftalmologia sono limitati. Dick et al hanno riportati risultati iniziali incoraggianti in 6 pazienti affetti da uveite (4 vasculiti retiniche, 1 malattia di Behçet, 1 oftalmia simpatica). Gli effetti collaterali includono episodi febbrili simil-influenzali e citopenie.
Efalizumab (Raptiva, Genentech, Inc.) è un anticorpo monoclonale umanizzato rivolto verso CD11a, una subunità di LFA-1 a sua volta coinvolta nel processo di presentazione di antigeni e di adesione cellulare all'endotelio vascolare. Viene somministrato settimanalmente per via sottocutanea ed è stato approvato originariamente dalla FDA per il trattamento della psoriasi. Sebbene il suo utilizzo sembrasse promettente nella terapia dell'edema maculare uveitico, l'aumentato rischio d'insorgenza di leucoencefalopatia multifocale progressiva ne ha precluso l'utilizzo in pratica clinica.
Tocilizumab (Actemra, Genentech, Inc.) è un anticorpo monoclonale umanizzato che funziona come recettore per IL-6. Interleuchina 6 è una citochina secreta da linfociti T e B ed è coinvolta nell'attivazione di cellule T, secrezione di immunoglobuline, richiamo di leucociti e differenziazione / proliferazione di cellule precursori ematopoietiche. Toclizumab è stato precedentemente utilizzato nella terapia dell'artrite reumatoide al dosaggio di 4-12 mg/kg per via endovenosa ad intervalli di 2-4 settimane. E' risultato efficace nel controllo di uveiti recidivanti secondarie ad artrite idiopatica giovanile, malattia di Behçet, retinocoroidopatia di Birdshot. Inoltre, Toclizumab sembra essere efficace nella terapia dell'edema maculare uveitico.
Secukinumab (AIN457, Novartis Pharmaceuticals Corporation) è un anticorpo monoclonale completamente umanizzato che lega e neutralizza IL-17A, una citochina infiammatoria secreta dai linfociti Th17 CD4+. Dick et al hanno recentemente pubblicato i risultati di 3 studi clinici che hanno saggiato l'efficacia di Secukinumab versus placebo in uveiti posteriori e panuveiti associate a malattia di Behçet (studio SHIELD), uveiti attive non infettive non associate a malattia di Behçet (studio INSURE), e uveiti inattive non infettive non associate a malattia di Behçet (studio ENDURE). Sfortunatamente, non è stata dimostrata l'efficacia di Secukinumab in questi 3 studi e quindi il farmaco non è stato approvato per l'utilizzo clinico.
Fingolimod (FTY720, Gilenya, Novartis Pharmaceuticals Corporation) previene la migrazione dei linfociti T verso le sedi d'infiammazione riducendo l'espressione del recettore per la sfingosina fosfato-1. È somministrato per via orale al dosaggio di 0.5-1.25 mg al giorno ed è stato approvato nel trattamento della sclerosi multipla. Dati sperimentali suggeriscono effetti benefici in modelli sperimentali di uveiti e questo ha accresciuto l'interesse in ambito oftalmico verso questo farmaco. Successivi sviluppi sono però stati bloccati dal rischio di insorgenza di edema maculare farmaco indotto.
L'orientamento futuro della ricerca farmacologica va verso una più vasta comprensione dei meccanismi patogenetici che stanno alla base delle uveiti, in modo da sviluppare nuovi farmaci sempre più specifici nei confronti di bersagli coinvolti nei processi d'infiammazione intraoculare (es. IL-15, IL-22, IL-23).
Considerazioni paziente-specifiche
L'oftalmologo che si occupa di uveiti deve trattare il paziente, non cercare di eradicare l'uveite. Questo principio 'olistico' è di fondamentale importanza per la buona riuscita del trattamento. Il paziente va considerato sotto tutti i punti di vista (età, aspettativa di vita, fattori sociali, fattori culturali, compliance al trattamento, allergie, comorbidità sistemiche, terapie sistemiche in atto, comorbidità oculari). Solo mediante quest'approccio il risultato sarà soddisfacente sia per il paziente, sia per il medico.
Allergie severe e comorbidità sistemiche gravi possono essere controindicazioni assolute per alcune terapie, ad esempio epatopatia cronica e metotrexate. Alti dosaggi di corticosteroidi andrebbero evitati in pazienti che tendono a subire incrementi di pressione intra-oculare (IOP) in concomitanza di terapie cortisoniche.
Via e frequenza di somministrazione del farmaco scelto dipendono anch'esse da fattori correlati al paziente. Per quanto riguarda i pazienti in età fertile va ricordato che metotrexate è teratogeno, mentre ciclofosfamide e clorambucil possono causare sterilità e menopausa precoce.
I pazienti devono essere preventivamente informati di potenziali benefici, rischi, e alternative al trattamento proposto, e va raccolto il consenso informato scritto del paziente al trattamento.